Albert Einstein e la strana storia del suo cervello
Albert Einstein è noto a tutti come un personaggio affascinante e dalle idee particolarmente innovative, che hanno cambiato per sempre non solo il panorama della fisica, ma anche la cultura popolare, rendendolo un’icona riconosciuta in tutto il mondo. Per notizie sulla sua biografia rimandiamo alla sua voce della Enciclopedia Motta. Qui, invece, la meno nota e strana storia del suo cervello, prelevato dopo la sua morte. La raccontiamo qui per celebrare i 70 anni dalla sua morte.
Già nel 1955, quando aveva 76 anni, Albert Einstein era considerato il più importante fisico del XX secolo. Viveva e lavorava a Princeton, nel New Jersey, da oltre vent’anni, ovvero da quando nel 1933 Hitler era stato nominato cancelliere: Einstein che, allora era in viaggio di lavoro negli USA, non era più tornato in Germania (dove era nato nel 1879 da una famiglia di origine ebraica).
Il 18 aprile del 1955 Einstein morì in seguito a un aneurisma. Il suo corpo fu cremato e le ceneri furono sparse lungo la riva del fiume Delaware nel New Jersey, come disposto nel suo testamento. Ma prima il suo corpo fu sottoposto a un’autopsia dal dottor Thomas Harvey, patologo al Princeton Hospital che ne asportò il cervello per tenerlo da parte per futuri studi neuroscientifici che puntavano a definire se il cervello degli uomini dotati di una “mente geniale” avesse particolari caratteristiche biologiche rispetto a un cervello comune.
Che fine ha fatto il cervello di Albert Einstein?
Questa storia divenne nota a tutti attraverso un breve trafiletto del New York Times uscito due giorni dopo la morte intitolato “Si cerca un indizio chiave nel cervello di Einstein”.

“Si cerca un indizio chiave nel cervello di Albert Einstein”, New York Times, 20 aprile 1955
Ma dopo quell’articolo, per 20 anni, nessuno seppe più nulla di che fine avesse fatto il cervello di Einstein, finché, alla fine degli anni Settanta, un giovane giornalista, Steven Levy, si appassionò alla vicenda. Riuscì a rintracciare il patologo responsabile dell’autopsia e autore delle prime indagini scientifiche sul cervello di Einstein, che dichiarò di non aver riscontrato alterazioni rispetto alla norma: il cervello pesava quanto un normale cervello umano, ovvero circa 1,2 chilogrammi.
Ma il cervello? Harvey gli mostrò un barattolo di vetro al cui interno si trovavano “una massa di materia rugosa a forma di conchiglia, un pezzo di materia grigia spugnosa, e alcuni cordoncini rosati”. Erano il cervelletto di Albert Einstein, un pezzo di corteccia cerebrale e di alcuni vasi aortici. Poi, in un altro recipiente di vetro chiuso da un coperchio con del nastro adesivo c’erano invece alcune piccole barrette semitrasparenti: altre parti del cervello sezionato di Einstein.
Gli studi scientifici
L’articolo di Levy uscì nell’agosto 1978 del NJM e suscitò clamore. La notizia fu rilanciata da radio e televisioni, e fu citata anche dalla rivista Science, attirando la curiosità di diversi studiosi tra cui la neuroscienziata Marion Diamond della Berkeley University che, ottenuti dei campioni di cervello di Einstein, vi rilevò una più alta concentrazione di cellule gliali rispetto alla norma. Questa scoperta uscita sulla rivista Experimental Neurology nel 1985, dopo trent’anni dall’autopsia di Harvey, fu il principale argomento della prima pubblicazione scientifica riguardo il cervello di Einstein. Le conclusioni di quello studio furono smontate da successive ricerche che ne contestavano il metodo e la composizione dei campioni analizzati.
Oggi alcune porzioni del cervello di Einstein – la cui gran parte è stata restituita al Princeton Hospital nel 1998 – sono conservate in una serie di vetrini esposti al Mutter Museum a Philadelphia.