Sebastião Salgado: la bellezza degli ultimi e della natura

Più di altre arti, la fotografia ha la capacità di rivelare, attraverso le immagini, lati nascosti del mondo che ci circonda, mostrandoci la realtà da un altro punti di vista. Lo sapeva bene Federico Motta Editore, che negli anni ha organizzato mostre di alcuni dei più importanti fotografi del Novecento. In occasione della Giornata Mondiale della Foresta Pluviale che si celebra il 22 giugno, ci sembra interessante ripercorrere brevemente l’attività artistica di uno dei più importanti fotografi degli ultimi decenni, il brasiliano Sebastião Salgado (1944-2025), recentemente scomparso, che all’Amazzonia ha dedicato gran parte delle sue energie.

Sebastião Salgado e la fotografia

Una vita dedicata a mostrare il mondo dal punto di vista degli ultimi, degli emarginati: così si può forse riassumere l’attività di Sebastião Salgado. Quella della fotografia era però una passione che aveva scoperto tardi. Dopo gli studi in economia, aveva infatti iniziato a lavorare per l’Organizzazione Mondiale del Caffè, quando nacque in lui l’interesse per la fotografia. Quella che all’inizio era una passione amatoriale, ben presto diventò una professione che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Una lunga carriera durante la quale ha collaborato con varie agenzie fotografiche, come Sigma e Gamma, fino ad approdare nel 1979 alla Magnum, la stessa di Capa e Cartier-Bresson. Nel 1994 avrebbe creato, con la moglie Lelia Wanick, una propria agenzia, Amazonas Images, centrata completamente sulla sua produzione.

Con la sua Leica è stato nei peggiori scenari di guerra e ha visitato alcune delle zone più povere del mondo. È stato in Sahel, per documentare la tremenda siccità che aveva colpito la regione, e poi nelle miniere d’oro del Brasile, in Ruanda durante il conflitto tra Hutu e Tutsi, in Patagonia coi i migranti. Gli ultimi, le vittime di carestie e guerre, sono i protagonisti dei suoi scatti, grandi affreschi in bianco e nero.

Salgado, l’Amazzonia e la tutela dell’ambiente

Negli anni Novanta, la dura esperienza in Ruanda durante il genocidio (1994) aveva segnato profondamente Salgado che, tornato in Brasile, aveva deciso di dedicarsi a un nuovo progetto capace di infondere speranza: un programma di riforestazione che segue insieme alla moglie, Lélia Wanick. Nel 1998 fonda l’Instituto Terra nel Minas Gerais, un’organizzazione che si occupa di riforestazione, ricreando l’ecosistema naturale per diverse specie animali e vegetali.

Alla base del progetto di Salgado c’è la consapevolezza che le foreste pluviali sono fondamentali per la sopravvivenza della vita sulla Terra. Producono il 20% dell’ossigeno che respiriamo e da esse dipende la generazione dell’acqua dolce che beviamo. Assorbono il nostro biossido di carbonio, stabilizzano i modelli climatici e ospitano metà delle specie animali e vegetali del mondo.

Il progetto “Instituto Terra” intende non solo mostrare attraverso l’arte fotografica di Salgado la potenza della natura, ma anche la sua fragilità, ma anche sensibilizzare l’opinione pubblica lanciando iniziative concrete di riforestazione. Perché la bellezza risiede dell’armonia tra uomo e natura, un equilibrio precario che dobbiamo imparare a tutelare con un impegno concreto.