La biblioteca medievale, tra re, monaci, amanuensi, università
Gli amanuensi sono tra i protagonisti della cultura medievale. Come ricordato anche in diversi saggi di Historia, a cura di Umberto Eco, con la loro attività di copiatura dei libri resero infatti possibile la conservazione e la trasmissione della cultura. Delle biblioteche monastiche abbiamo già parlato. Non si trattava però dell’unico modello di biblioteca diffuso nell’Occidente medievale. Vediamo quindi anche alcuni modelli laici diffusi nella cultura medievale del XIII e XIV secolo.
Biblioteche e amanuensi
Prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, l’esistenza dei libri era legata a persone che si occupavano di copiarli a mano. I più famosi nel Medioevo erano i monaci amanuensi, che potevano vantare grandi doti di calligrafia e nell’illustrazione. Ma a partire dal XIII secolo, accanto ai monaci amanuensi, iniziarono a comparire anche dei laici, la cui professione era copiare libri. Si trattava dei copisti, veri e propri scrittori di mestiere. I committenti erano i più vari: dalle università agli stessi monasteri, che a volte si appoggiavano proprio a copisti laici per ottenere nuovi volumi. Ma a volte erano gli stessi intellettuali a copiare un libro per aggiungerlo alla propria collezione: così fecero, per esempio, Petrarca e Boccaccio.
Biblioteche universitarie
Oltre alle biblioteche domenicane, nel XIII secolo un secondo modello di biblioteche comunitarie è quello degli istituti di insegnamento come le università. Parigi, Bologna, Oxford furono le prime, ma si trattava di corporazioni che non fornivano servizi di insegnamento. Le loro biblioteche, quindi, non erano aperte a studenti e maestri, che frequentavano invece quelle delle abazie e delle scuole capitolari. Nel XIII secolo, invece, nacquero nuove istituzioni di formazione, i collegi, che fornivano una struttura (con servizio di vitto e alloggio e una biblioteca) dove gli studenti potevano portare a termine la loro formazione.
La diffusione della carta
Occorre anche notare che a partire dal XII secolo incomincia a diffondersi un nuovo supporto: la carta. Più economica e al contempo meno resistente della pergamena, incominciò a essere usata per i documenti amministrativi e per la trascrizione di manoscritti di uso corrente. Questa innovazione tecnologica rivoluzionò l’economia del libro: il numero dei volumi aumentò esponenzialmente con conseguenti problemi di conservazione e collocazione degli stessi.
I banchi fino ad allora utilizzati per la consultazione e la custodia dei codici, i plutei, erano tavoli inclinati a cui erano incatenati i volumi da consultare. La maggior parte dei plutei possedeva alla base degli scaffali che consentivano di conservare dai sei agli otto volumi. L’aumento delle collezioni librarie e del numero dei lettori rese necessaria una modifica del sistema di collocazione. I plutei furono addossati l’uno all’altro con i due piani inclinati faccia a faccia, furono eliminate le panche e soprattutto furono predisposte scaffalature che si sviluppavano in altezza per disporre il numero sempre crescente dei volumi.
Le collezioni di principi e signori
Per quel che riguarda le collezioni librarie di principi e signori, si ritiene che sia stato il re di Francia Luigi IX ad allestire, al terzo piano della Sainte-Chapelle, la prima biblioteca di palazzo. Lo fece dopo il suo ritorno dalla crociata in Terrasanta, dove aveva saccheggiato molti preziosi libri. Ma fu Carlo V il Saggio a rilanciare l’immagine del sovrano bibliofilo e illuminato che amava attorniarsi di intellettuali e consiglieri colti. Coltivò la sua passione per i libri per tutta la sua vita, tanto che l’inventario dei suoi beni mobili nel 1379 contava 3900 voci, molti dei quali erano libri.
Nel 1367-1368 si trasportarono i libri al Palazzo del Louvre e affidati al bibliotecario Gilles Malet. I volumi vennero organizzati in una vera e propria biblioteca a vocazione enciclopedica, moderna e innovativa. La teologia era relativamente trascurata e tre quarti dei testi erano in lingua volgare, testimoniando un slancio decisivo verso la laicizzazione del sapere.