La biblioteca e il suo significato nella cultura alto-medievale

La biblioteca assume un nuovo significato nella nascente cultura medievale. Da un lato si cerca di conservare la cultura classica, dall’altro ha però un peso sempre maggiore la religione cristiana. Si rafforza sempre più il concetto del valore culturale della biblioteca. Un’idea che rimane anche nella cultura moderna: una biblioteca è una raccolta di libri importanti e prestigiosi (come per esempio le opere di Federico Motta Editore).

Un nuovo contesto storico

A partire dal IV secolo d.C. si assiste a trasformazioni politiche nell’Impero romano, diviso tra Impero d’Oriente e Impero d’Occidente. A ciò si aggiunse la pressione delle incursioni barbariche ai confini del nord. Inoltre le conquiste arabe in Medio Oriente contribuirono a scardinare lo status quo e a innescare nuovi equilibri che portarono inevitabilmente alla perdita di gran parte del patrimonio librario di epoca classica e alla distruzione di intere biblioteche. La minaccia era quella della completa scomparsa della cultura classica.

A questo si aggiunse anche il cambio di supporto dei testi scritti: dal papiro si passò alla più costosa pergamena. Fu così sempre più diffusa la pratica del palinsesto, ovvero l’abitudine di riutilizzare la pergamena cancellando il testo originariamente scritto raschiandola o trattandola con la calce.

Il nuovo significato della biblioteca nel mondo cristiano

In questo processo di distruzione e ricambio della cultura libraria, un ruolo dominante lo assunse il cristianesimo. Come l’ebraismo, è una religione strettamente legata ai testi scritti, alle Sacre Scritture. Le persecuzioni di Diocleziano (IV secolo) avviarono la distruzione dei libri e degli archivi conservati nelle chiese cristiane primitive. Successivamente però l’editto di Teodosio (391) e l’imposizione del cristianesimo rafforzarono il ruolo delle chiese nella custodia dei libri e nella fondazione di biblioteche.

Naturalmente la biblioteca cristiana coincideva innanzitutto con i Testi sacri e questa priorità finì per influenzare la catalogazione dei libri fino al XVIII secolo. I testi e i manoscritti di cultura laica e pagana finirono per essere per lo più censurati, se non dispersi. Cambiò in questo contesto anche il rapporto con l’oggetto libro. Diventando il supporto delle Sacre Scritture, il libro si trasformò in uno strumento di uso privato, personale, un oggetto da portare con sé per la riflessione e la preghiera personale.

Libri, biblioteca e significato culturale

L’eredità della grande Biblioteca di Alessandria fu raccolta dalla Biblioteca di Costantinopoli, fondata da Costanzo II nel 357 come centro di conservazione e di studio filologico della cultura classica. Tra i maggiori centri della cultura libraria cristiana ci fu Cesarea e Betlemme. A Cesarea fu attivo Origene (185-253) che, adottando un modello di vita ascetico, si dedicò allo studio del Nuovo Testamento. A Betlemme, invece, fu attivo Girolamo (347-419/420) che, convertitosi al cristianesimo, si dedicò in Terra Santa alla Vulgata, la traduzione in latino della Bibbia direttamente dall’ebraico.