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Il nome della rosa: Eco e il Medioevo

Il nome della rosa

Ormai è ufficiale: il prossimo 4 marzo andrà in onda su Rai 1 l’attesa serie ispirata al Nome della rosa di Umberto Eco. Si tratta di una produzione internazionale che si compone di 8 episodi, per la regia di Giacomo Battiato. Nei panni di Guglielmo da Baskerville, già portato sul grande schermo da Sean Connery, troveremo John Turturro, mentre Rupert Everett sarà l’inquisitore Bernardo Gui. È però questa anche un’occasione per ritornare sul rapporto tra Umberto Eco e il Medioevo. A questo periodo storico, lo scrittore ha dedicato importanti studi come testimoniano i volumi di Historia pubblicati da Federico Motta Editore.

Il nome della rosa

Una produzione internazionale ci riporta nel monastero dove è ambientato Il nome della rosa di Umberto Eco

Il nome della rosa e oltre: Eco e il Medioevo

L’interesse di Umberto Eco per il Medioevo nacque già negli anni universitari, quando, sotto la guida di Luigi Pareyson lavorava alla tesi di laurea su Tommaso d’Aquino. Non stupisce quindi che proprio il Medioevo faccia da sfondo al suo romanzo d’esordio, Il nome della rosa. Si tratta di un punto di riferimento per la letteratura postmoderna italiana, un romanzo in cui la ricostruzione storica si lega al thriller, alla storia delle idee, al romanzo gotico. Ma non solo: al Medioevo, alla sua storia e alla sua filosofia Eco ha dedicato molti saggi e studi.

Che cosa è il Medioevo

È lo stesso Eco che nell’introduzione al Medioevo nei volumi di Historia. La grande storia della civiltà europea, pubblicati da Federico Motta Editore, ci racconta come il Medioevo non sia stato un’epoca buia, ma un momento storico dalle molte sfaccettature:

[Il Medioevo] era sempre diverso anche da se stesso, salvo che cercava di non dirlo. La nostra epoca moderna ama mettere in scena le proprie contraddizioni, mentre il Medioevo ha sempre teso a occultarle. Tutto il pensiero medievale vuole esprimere una situazione ottimale e pretende di vedere il mondo con gli occhi di Dio, ma è difficile conciliare i trattati di teologia e le pagine dei mistici con la passione travolgente di Eloisa, le perversioni di Gilles de Rais, l’adulterio di Isotta, la ferocia di fra’ Dolcino e dei suoi persecutori, i goliardi con le loro poesie inneggianti al libero piacere dei sensi, il carnevale, la Festa dei Folli, l’allegra canea popolare che pubblicamente irride ai vescovi, ai testi sacri, alla liturgia, e ne conduce la parodia. […] È stata una civiltà in cui si è dato pubblico spettacolo di ferocia, lussuria ed empietà, e contemporaneamente si viveva secondo un rituale di pietà credendo fermamente in Dio, nei suoi premi e nei suoi castighi, perseguendo ideali morali a cui si contravveniva con candore.