La biblioteca e il bibliotecario nella cultura medievale

Il Duecento vede l’ascesa degli ordini mendicanti: l’ordine dei domenicani, in particolare, avrà un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura. La biblioteca medievale si evolve, nascono la figura del bibliotecario e lo strumento dell’inventario. La biblioteca come conosco bene i lettori delle opere di Federico Motta Editore, si conferma sempre più una prestigiosa istituzione dal grande valore culturale.

I domenicani, la biblioteca e il bibliotecario

Con il XIII secolo acquistarono peso sempre maggiore gli ordini mendicanti. I domenicani, fondati nel 1215-1216, concentrarono in particolare i loro istituti nelle città, dove fondarono studia. Erano questi dei centri di studio che si appoggiavano a biblioteche e dove insegnano illustri maestri come Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Nelle biblioteche domenicane si imposero nuovi modelli di gestione che prevedevano una figura di riferimento, il bibliotecario. Questi si occupava delle acquisizioni (volumi spesso ereditati dai confratelli scomparsi), del controllo dei volumi in prestito ecc. Si fissarono anche le norme per la distribuzione dei volumi in base alla loro funzione: opera liturgica, opera di riferimento, opera destinata al prestito. Un’organizzazione che influenzò anche altri ordini religiosi, in particolare quello francescano, che sebbene non avesse inizialmente mostrato interesse allo studio, poi consentì l’ingresso dell’ordine solo ai “chierici”, ovvero a chi avesse già completato gli studi universitari.

Nuovi spazi per la consultazione

Le biblioteche degli ordini monastici erano per lo più un semplice armarium, in cui si conservavano le opere di studio e i testi non liturgici. Con il moltiplicarsi dei volumi attraverso l’opera degli scriptoria, si sentì l’esigenza di uno spazio specifico dedicato ai libri. Lo studio all’aperto, infatti, non era una condizione confortevole. Per questo spesso si ricorreva alla realizzazione di un corridoio di fianco alla chiesa che offriva uno spazio meno umido e più riparato per conservare i libri. Le sale della biblioteca erano invece quadrate e dotate di finestre sulle pareti longitudinali, spesso decorate.

La nascita degli inventari

Per quel che concerne la gestione dei libri nelle biblioteche, le principali fonti di informazione furono gli inventari. Se ne sono conservati circa 140 di cui 125 attribuibili a precise biblioteche. Si tratta per lo più di liste copiate in testa o in coda ad alcuni manoscritti, che fornivano informazioni sommarie. Implicavano inoltre un riferimento a una collezione spesso scarsa, all’interno della quale era dunque facile recuperare i volumi.

Esistono poi inventari a sé stanti, che si presentano come tavolette di legno, rivestite di pergamena e rilegate come un codice. Riportavano su entrambi i lati la descrizione completa dei volumi della biblioteca, organizzata in colonne e scritta in versi e che seguiva l’organizzazione topologica dei banchi che conservavano i libri. Con ogni probabilità l’inventario era nella sala, sistemato su un leggio a disposizione di tutti, ed era spesso oggetto di revisioni e integrazioni. Lo stesso volume poteva racchiudere opere diverse rilegate insieme, per cui l’inventario si limitava a descrivere i volumi della collezione e non i contenuti di ciascun volume.