Umberto Eco, tra semiotica, comunicazione e Medioevo
Umberto Eco e la semiotica: l’autore del Nome della rosa è considerato uno dei più importanti studiosi italiani della scienza dei segni. Umberto Eco applicò la semiotica a vari ambiti, tra cui la linguistica e la letteratura. Ma, come sappiamo, nel suo profilo di intellettuale ebbe grande importanza anche il Medioevo: una testimonianza di questo interesse sono i volumi del Medioevo che curò per Federico Motta Editore.
Umberto Eco e il Medioevo
L’interesse per il Medioevo accompagnò Umberto Eco per tutta la vita, a cominciare dalla tesi di laurea sul Problema estetico in Tommaso d’Aquino, scritta sotto la guida di Luigi Pareyson. Nel corso della sua molteplice attività culturale e intellettuale, Eco ha continuato a occuparsi del Medioevo, che è l’assoluto protagonista anche del suo romanzo d’esordio, Il nome della Rosa, ricordato come una delle opere fondamentali della letteratura postmoderna in Italia. Culmine del suo interesse per la storia e la cultura medievale sono i quattro volumi che compongono Il Medioevo, da lui curati per Federico Motta Editore.
Umberto Eco: la semiotica
A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, Umberto Eco si interessò alla semiotica. Primi risultati di questi suoi interessi sono La struttura assente (1968) e il Trattato di semiotica generale (1975). In seguito Eco applicò la semiotica allo studio di campi come la linguistica, la comunicazione, i mass media e la letteratura. Ma che cosa caratterizza l’impostazione di Eco? Come scrive Valentina Pisanty nel suo saggio dedicato alla semiotica su L’età moderna di Motta editore:
Ispirandosi alla definizione peirceana di segno come inferenza, Eco in Lector in fabula (1979) considera il testo come una “macchina pigra” la quale richiede l’intervento di qualcuno (l’interprete) che la faccia funzionare: “un testo è incompleto senza l’intervento di un lettore che, con la sua attività interpretativa, riempia di senso gli ‘spazi bianchi’ di cui il testo è necessariamente intessuto”.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, infatti, Eco è tra i protagonisti di un cambio di prospettiva negli studi semiotici. In particolare assume maggiore importanza il ruolo dell’interprete nei processi di costruzione del senso.
Secondo Eco il ruolo dell’interprete è iscritto nel testo sotto forma di implicite istruzioni per l’uso del medesimo: è pertanto possibile rintracciare la presenza del lettore “in fabula”, ricostruendo – a partire dagli indizi testuali – le “passeggiate inferenziali” che il Lettore Modello è di volta in volta stimolato a intraprendere, uscendo temporaneamente dal testo per ritornarvi “carico di bottino intertestuale”.
È la semiotica interpretativa, che attraverserà diverse fasi di elaborazione pur mantenendo sempre gli stessi fondamenti.